Ero in treno e tenevo il libro tra le mani, come si tiene un oggetto fragile ma che emana una forza che spinge.
Ho letto. E qualcosa mi ha preso alla gola.
Sono parole che conosco, parole che mi trovo dentro, e vederle lì, tutto ad un tratto, esposte e composte in quel modo delicato e terribile, mi ha toccata.
Ora leggete.
Tutto d'un fiato.
Cercate di farvi trasportare dalle parole, anche se non sapete cosa significano, anche se dovreste tornare indietro per capire.
No.
Non adesso.
Lasciate che vi fluisca dentro un'emozione.
Lasciate che parli anche di voi.
La ragione, quella, verrà dopo.
Dopo il silenzio.
Questo post lo dedico ad un mio amico, Gabriele. Fa lo scrittore. E lui sa perchè.Caro ragazzo, sì, certo, incontriamoci,ma non aspettarti nulla da questo incontro.Se mai, una nuova delusione, un nuovovuoto: di quelli che fanno benealla dignità narcissica, come un dolore.A quarant’anni io sono come a diciassette.Frustrati, il quarantenne e il diciassettennesi possono, certo, incontrare, balbettandoidee convergenti, su problemitra cui si aprono due decenni, un’intera vita,e che pure apparentemente sono gli stessi.Finché una parola, uscita dalle gole incerte,inaridita di pianto e voglia d’esser soli -ne rivela l’immedicabile disparità.E, insieme, dovrò pure fare il poetapadre, e allora ripiegherò sull’ironia- che t’imbarazzerà: essendo il quarantennepiù allegro e giovane del diciassettenne,lui, ormai padrone della vita.Oltre a questa apparenza, a questa parvenza,non ho niente altro da dirti.Sono avaro, quel poco che possiedome lo tengo stretto al cuore diabolico.E i due palmi di pelle tra zigomo e mento,sotto la bocca distorta a furia di sorrisidi timidezza, e l’occhio che ha persoil suo dolce, come un fico inacidito,ti apparirebbero il ritrattoproprio di quella maturità che ti fa male,maturità non fraterna. A che può servirtiun coetaneo - semplicemente intristitonella magrezza che gli divora la carne?Ciò ch’egli ha dato ha dato, il restoè arida pietà.
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