giovedì 11 aprile 2013

Far durare la felicità




C'è un signore che ha fatto una magia.
Ha cercato di trasformare qualcosa di brevissimo, che dura un solo momento (la felicità), in qualcosa di lunghissimo, che può durare decine e decine di anni. Cioè un libro.
Questo signore si chiama Valerio Millefoglie, e il suo libro magico è L'attimo in cui siamo felici.L'idea gli è nata un giorno, ha stampato dei volantini e ha cominciato a distribuirli dappertutto.
In questi volantini c'era scritto:

"Ricerco la felicità. Non la mia. La tua. Ricerco la tua felicità. Pensi di non averla eppure ce l'hai. Non mi riferisco solo alle grandi felicità come l'incontro con l'anima gemella o la scalata alla vetta più alta che c'è. M'interessano le felicità quotidiane: un caffé con un amico, una telefonata inaspettata, tornare a casa la sera, aprire il frigo e invece di un pomodoro trovarne due.
Ti fornirò apposite schede su cui segnare i tuoi momenti di gioia nell'arco di una settimana. Al termine della compilazione ci incontreremo e realizzerò un'intervista basata sulle tue gioie. L'intervista diventerà una cartella clinica, un ritratto di felicità a cui gli altri, in questo caso io, potranno accedere e attingere nei momenti di sconforto. Per offrirti contatta..."
E quindi ecco a voi un pezzetto di felicità di un volontario, Alfie.
Che può sempre servire.


                Alfie cammina in stivali pitonati. Indossa jeans slavati e ha muscoli che gli modellano maglie e camicie. Per un certo periodo passeggiava per la città e si vedeva gigante sui cartelloni pubblicitari.
                Una volta l’ho riconosciuto in una sitcom.
                Con i suoi stivali pitonati se ne va ovunque e in qualsiasi dimensione, senza paura.
                Si sveglia alle cinque del mattino, ma comincia a lavorare solo a mezzogiorno. Si sveglia così presto per scrivere.
                Dopo tanti giorni che si svegliava alle cinque ha finito un poema in cui si chiede che fine avrebbero fatto eroi epici come Achille o Enea se avessero avuto bisogno del permesso di soggiorno.
                Sono subito incuriosito dalle prime caselle che leggo sulla scheda: «Sofia Irene, tre mesi di vita, guarda la tv», «Sofia Irene fa stretching e guarda fuori la finestra», «Lunga conversazione con Sofia Irene».
                Gli chiedo come s’instaura un dialogo con una bambina di tre mesi.
                Di cosa dialogavate?
                Quel giorno avevo sentito mia madre per telefono dalla Nigeria, mi aveva detto: «Trattala bene perché ha fatto un lungo viaggio». Secondo le nostre credenze anche se mia figlia è nata in Italia, la sua anima viene dalla Nigeria. Un uomo per essere completo, per assicurarsi la reincarnazione, deve procreare. Ogni figlio è una persona della tua famiglia che non c’è più. Quando è nata Sofia Irene mia madre è andata dal divinatore per sapere chi fosse nella vita passata. Il divinatore ha detto che era mia sorella. Mia sorella è scomparsa nell’83, io non ho mai visto il suo corpo e per dieci, quindici anni la sognavo continuamente, per strada ero sempre attento, la vedevo in ogni ragazza che passava e quando mia madre quel giorno mi ha detto questo per telefono mi sono commosso, sai, non è che io ci creda davvero, però... tornato a casa mi sono messo sul divano e le ho parlato.
                In che lingua?
                Nell’igbo.
                Cosa vi siete detti?
                Le ho detto: «Come stai? Come va? Come mai hai scelto me?», e lei mi capiva, sorrideva, vedevo che mi capiva. Mi guardava e mi diceva che era molto felice.
                Il divinatore che ha detto di te, chi eri?
                Io ho un fratello e già nella vita passata eravamo fratelli. Io l’opprimevo così lui disse: «Nella vita futura prevarrò su chiunque». Così è stato.

                Mi spieghi questi cinque minuti di felicità: «L’amore, l’amica, il marito, la sedia a rotelle»?
                Ho un’amica, ci incontravamo spesso e mi parlava di un uomo che aveva incontrato. Diceva cose bellissime su di lui, lo dipingeva come... come... come sui giornali descrivono l’attore più bello che c’è. Poi è andata a viverci insieme fuori città perché le scale di casa di lei erano d’impedimento all’amore.
                In che senso?
                Mi diceva che lui aveva certi problemi a camminare. Finalmente qualche settimana fa l’ho conosciuto, sono andato a trovarli a casa e ho scoperto che lui è sulla sedia a rotelle, ha difficoltà a parlare, ma è una persona intelligentissima e allora quando sono entrato in questa casa ho sentito come un manto che mi ha avvolto, per una frazione di tempo mi ha avvolto di gioia, per un attimo ho visto lui con gli occhi di lei. Ho capito che gli uomini non sanno cos’è l’amore.
                Chi lo sa?
                Solo le donne lo sanno.

                Anche se durante la serata Alfie mi dice tante altre cose, sono distratto e mi soffermo sulla sua risposta. Solo le donne lo sanno. La frase continua a tornarmi in mente, anche quando sono in macchina verso casa. Mi fa pensare alle vedove come superstiti di una guerra, come l’altra metà dell’esercito. Le immagino avanzare imperterrite su una collina, con le ultime forze che sono pur sempre forze. Arrivano in cima, si fermano e il vento gli parla di cose che noi non riusciamo e sentire.


Per chi fosse interessato, questo è il link al sito "l'attimofelice":
http://www.attimofelice.it/