domenica 11 marzo 2012

The bluebird

Non c'è niente da aggiungere.
Ascoltate Bukowski, lui sa come dirlo.



nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma con lui sono inflessibile,
gli dico: rimani dentro, non voglio
che nessuno ti
veda.

nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io gli verso addosso whisky e aspiro
il fumo delle sigarette
e le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che
lì dentro
c'è lui

nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
gli dico:
rimani giù, mi vuoi fare andar fuori
di testa?
vuoi mandare all'aria tutto il mio
lavoro?
vuoi far saltare le vendite dei miei libri in
Europa?

nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
gli dico: lo so che ci sei,
non essere
triste

poi lo rimetto a posto,
ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l'ho fatto davvero
morire,
dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?




martedì 6 marzo 2012

Discriminazione, enoizanimircsid

Perdonatemi se sono monotematica, ma questo libro (Racconti di vento e di mare) mi sta regalando una dose di bellezza senza precedenti.
Oggi vi metto questo, s'intitola Nella baia di Rio, scritto da Edmondo De Amicis.
E' una storia che mi ha messo i brividi.
Ho visto quell'uomo malato, ho sentito l'imbarazzo e l'inadeguatezza dei marinai.
E un grande scrittore non deve far altro che questo.
Emozionare, senza che il lettore si accorga della fatica e del lavoro che ci stanno sotto.

Questo è per tutti i migranti, e per tutti gli emarginati che lo sanno.

Eccolo qui, ancora caldo.



                Mentre, tutti brillanti della gioia del ritorno, stavamo per scendere nella barca a vapore che ci doveva portare al piroscafo, si avvicinò alla comitiva un contadino d’una cinquantina d’anni, alto e pallido, che camminava a fatica, e che aveva un involto di panni sotto il braccio. Era un emigrato lombardo; uno di quei molti disgraziati che i medici dei bastimenti rimandano indietro per non avere un morto a bordo durante la traversata dell’Oceano: era malato grave e l’avevano rimandato anche perché, essendovi a Rio Janeiro la febbre gialla, s’usava più rigore del solito.
                Domandò del comandante, ch’era fra noi: gliel’accennammo; gli si avvicinò col cappello in mano. Aveva gli occhi infossati, uno di quei visi di contadini risentiti e fieri, che fanno più compassione degli altri, quando si vedon supplichevoli, perché si capisce quanto dovettero e debbon soffrire per mutarsi in quella maniera. Egli domandava per grazia di essere ricevuto a bordo. Veniva dall’interno del Brasile, era sfinito da un viaggio lunghissimo e penoso, voleva ritornare in patria; e non lo diceva, ma si capiva che voleva partire ad ogni costo quel giorno, perché sentiva che i suoi giorni eran contati.
                Il comandante gli rispose di no.
                Il contadino si percosse la fronte con la mano.
                Poi cominciò a pregare con voce tremante, parlando rapidamente.
                - Mi lasci partire, signor comandante, mi lasci partire. Mi metteranno dove vogliono. Mi chiudano anche. Paghi el doppi. Quando dico che mi chiudano! Mi gettino in mare se vedranno che va male. Ho bisogno di partire. Ci ho la mia famiglia laggiù che m’aspetta; i piscinitt! El doppi paghi, el doppi. Me raccomandi per l’amor di Dio -. Poi con un’esplosione della voce: - Ch’el disa minga de no! Ch’el disa minga de no!
                Il comandante scrollò le spalle, con rammarico, ma risolutamente, e saltò nella barca.
                Allora il contadino s’attaccò a un altro della brigata, con voce affannosa, col viso e l’accento di un uomo atterrito.
                - Me raccomandi a lù, scior. Parli lei al comandante. Ci ho la mia famiglia. Faccia questa opera di carità. Non sto mica tanto male. Dica una parola. Mi raccomandi, la preghi che non ‘le me abbandona per amore di Dio, che ho bisogno di tornare al mio paese, ghe disi per l’amor di Dio!
                Il pregato gli disse qualche parola di conforto, che si rassegnasse, che era impossibile, e saltò nella barca egli pure.
                Il contadino saltò dietro a lui, e s’attaccò al console, pigliandolo per i panni, affondandolo di parole sconnesse, che accennavano alla sua vita, ai suoi patimenti. Era nel Brasile da quattro anni, non ci aveva parenti, stava male da un pezzo. Voleva andare a chiudere gli occhi nel suo paese, in mezzo ai suoi. Perdere la partenza di quel giorno, voleva dire la morte in terra straniera, morir solo, abbandonato, disperato. E parlava, pregava, con voce supplichevole, facendo degli atti interrogando ora l’uno ora l’altro con uno sguardo che straziava l’anima.
                Tutti si rivolsero al comandante. Era proprio costretto a respingerlo? Non era possibile fare un’eccezione?
                Quel rude uomo di mare dovette raccogliere la voce per rispondere.
                - No, - disse con uno sforzo, e voltò il viso da una parte. Il contadino fu risospinto da un marinaio sopra la scaletta d’imbarco e la barca cominciò a muoversi. Di là continuò a pregare, parlando precipitosamente, battendosi la mano sul petto, come per provare che era ancora forte, e ripetendo: - Moeuri minga! Moeuri minga! Mi lascino partire per l’amor di Dio! Ghe giuri che moeuri minga! - Ma nessuno di noi osava più guardarlo. La barca s’allontanava. Udimmo ancora una volta quelle sconsolate parole, lanciate come un grido di angoscia e di rabbia: - Moeuri minga! - e poi non udimmo più nulla. Tutti tacevano, rattristati da quella scena, e guardavano intorno. La barca guizzava rapidissima sulle acque chiare, e la baia meravigliosa di Rio Janeiro ci si svolgeva davanti: quegli alti picchi dalle forme di montagne lunari, quei monti popolati di regine e d’imperatori della vegetazione, quei boschi scapigliati, quelle rocce aeree, quei seni inghirlandati di giardini, quelle isole incoronate di palme, tutto quell’anfiteatro immenso, disordinato, strano, così grande che la fantasia vi si perde, così bello che mette quasi tristezza. Ci parve d’arrivar troppo presto al piroscafo, che già fumava, e appena saliti ci mettemmo al parapetto, in mezzo agli altri mille passeggeri, a riguardare la baia «l’arco trionfale dell’America» che resta nella mente d’ogni viaggiatore come una visione di paradiso. Alcuni amici di Rio Janeiro erano rimasti sotto nella barca a vapore, che aveva a prua la bandiera italiana. Rimanemmo là non so quanto tempo. Il sole tramontava, il cielo era tutto rosato, la baia rosata, le grandi rocce coniche parevan di corallo, sull’orizzonte dell’oceano si allungava una striscia di nuvole purpuree. E cominciava a scoppiettare allegra la conversazione fra noi e gli amici di sotto, quando una voce dolorosa, - sinistra, - lacerante, - quella voce, - ci arrivò improvvisamente all’orecchio.
                - Mi lascino partire! Ci ho la famiglia! Paghi el doppi. Moeuri minga! I preghi per l’amor di Dio.
                Appena partiti noi, quegli s’era gettato nella barchetta di un negro, che l’aveva portato là in men d’un’ora, facendo forza per quattro.
                Il comandante, dall’alto del ponte di comando, gli rispose con un cenno del capo: - È impossibile.
                Quegli, intanto s’era spinto innanzi con la sua in mezzo alle altre barche, e, afferratosi alla catena della scala reale, dove un marinaio gl’impediva il passo, continuava a pregare affannosamente, ora guardando in su verso il capitano e verso di noi, ora verso gli amici della barca a vapore, la cui bandiera gli pendeva sopra una spalla; e giungeva le mani, abbracciava le gambe al marinaio, baciava la bandiera, accennava il cielo, spandeva un torrente di parole, quasi fuori di sé: - Il mio paese, la mia famiglia, i me piscinitt, per pietà, moeuri minga, - con la voce roca, coi lamenti d’un bimbo, con lo sguardo d’un moribondo, coi gesti d’un pazzo...
             Dal ponte di comando tuonò un grido: - Su la scala!
Le catene cigolarono, la scala s’alzò; il disgraziato, respinto dal marinaio, ricadde seduto in mezzo alla barca.
E diede in una risata più dolorosa e più lugubre del più disperato scoppio di pianto.
Poco dopo si udì il fischio della partenza.
Intanto, dal parapetto della terza classe, gli gridavano: - Coraggio, buon uomo, partirete quando starete meglio. - C’è un altro vapore fra quindici giorni.
E qualche voce scellerata gli diceva: - Purgati! Ripassa domattina!
Ma egli, rifattosi cupo, pareva che non capisse più nulla, e guardava gli uni e gli altri con grande stupore. Il bastimento si mosse.
Allora si alzò in piedi con impeto, e tese il pugno verso il ponte, in atto di scagliare un’orrenda maledizione.
Poi ricadde d’un colpo nella barca, col viso nelle mani, e ruppe in un singhiozzo violento, che parve una risata...
Era già lontano da noi e lo vedevamo ancora che scuoteva le spalle con un movimento convulso, vedevamo ancora col cuore stretto, là in mezzo alla baia, quell’immenso dolore senza conforto, a cui sorrideva tutto intorno quella immensa bellezza senza pietà. Dopo cinque minuti egli non era più che un punto nero in mezzo al mare color di rosa...