Oggi vi metto questo, s'intitola Nella baia di Rio, scritto da Edmondo De Amicis.
E' una storia che mi ha messo i brividi.
Ho visto quell'uomo malato, ho sentito l'imbarazzo e l'inadeguatezza dei marinai.
E un grande scrittore non deve far altro che questo.
Emozionare, senza che il lettore si accorga della fatica e del lavoro che ci stanno sotto.
Questo è per tutti i migranti, e per tutti gli emarginati che lo sanno.
Eccolo qui, ancora caldo.
Mentre,
tutti brillanti della gioia del ritorno, stavamo per scendere nella barca a
vapore che ci doveva portare al piroscafo, si avvicinò alla comitiva un
contadino d’una cinquantina d’anni, alto e pallido, che camminava a fatica, e
che aveva un involto di panni sotto il braccio. Era un emigrato lombardo; uno
di quei molti disgraziati che i medici dei bastimenti rimandano indietro per
non avere un morto a bordo durante la traversata dell’Oceano: era malato grave
e l’avevano rimandato anche perché, essendovi a Rio Janeiro la febbre gialla, s’usava
più rigore del solito.
Domandò
del comandante, ch’era fra noi: gliel’accennammo; gli si avvicinò col cappello
in mano. Aveva gli occhi infossati, uno di quei visi di contadini risentiti e
fieri, che fanno più compassione degli altri, quando si vedon supplichevoli, perché
si capisce quanto dovettero e debbon soffrire per mutarsi in quella maniera.
Egli domandava per grazia di essere ricevuto a bordo. Veniva dall’interno del
Brasile, era sfinito da un viaggio lunghissimo e penoso, voleva ritornare in
patria; e non lo diceva, ma si capiva che voleva partire ad ogni costo quel
giorno, perché sentiva che i suoi giorni eran contati.
Il
comandante gli rispose di no.
Il
contadino si percosse la fronte con la mano.
Poi
cominciò a pregare con voce tremante, parlando rapidamente.
- Mi
lasci partire, signor comandante, mi lasci partire. Mi metteranno dove
vogliono. Mi chiudano anche. Paghi el
doppi. Quando dico che mi chiudano! Mi gettino in mare se vedranno che va
male. Ho bisogno di partire. Ci ho la mia famiglia laggiù che m’aspetta; i piscinitt! El doppi paghi, el doppi. Me
raccomandi per l’amor di Dio -. Poi con un’esplosione della voce: - Ch’el disa minga de no! Ch’el disa minga de
no!
Il
comandante scrollò le spalle, con rammarico, ma risolutamente, e saltò nella
barca.
Allora
il contadino s’attaccò a un altro della brigata, con voce affannosa, col viso e
l’accento di un uomo atterrito.
- Me raccomandi a lù, scior. Parli lei al
comandante. Ci ho la mia famiglia. Faccia questa opera di carità. Non sto mica
tanto male. Dica una parola. Mi
raccomandi, la preghi che non ‘le me abbandona per amore di Dio, che ho
bisogno di tornare al mio paese, ghe disi
per l’amor di Dio!
Il
pregato gli disse qualche parola di conforto, che si rassegnasse, che era
impossibile, e saltò nella barca egli pure.
Il
contadino saltò dietro a lui, e s’attaccò al console, pigliandolo per i panni,
affondandolo di parole sconnesse, che accennavano alla sua vita, ai suoi
patimenti. Era nel Brasile da quattro anni, non ci aveva parenti, stava male da
un pezzo. Voleva andare a chiudere gli occhi nel suo paese, in mezzo ai suoi.
Perdere la partenza di quel giorno, voleva dire la morte in terra straniera,
morir solo, abbandonato, disperato. E parlava, pregava, con voce supplichevole,
facendo degli atti interrogando ora l’uno ora l’altro con uno sguardo che
straziava l’anima.
Tutti
si rivolsero al comandante. Era proprio costretto a respingerlo? Non era
possibile fare un’eccezione?
Quel
rude uomo di mare dovette raccogliere la voce per rispondere.
-
No, - disse con uno sforzo, e voltò il viso da una parte. Il contadino fu risospinto
da un marinaio sopra la scaletta d’imbarco e la barca cominciò a muoversi. Di
là continuò a pregare, parlando precipitosamente, battendosi la mano sul petto,
come per provare che era ancora forte, e ripetendo: - Moeuri minga! Moeuri minga! Mi lascino partire per l’amor di Dio! Ghe giuri che moeuri minga! - Ma nessuno
di noi osava più guardarlo. La barca s’allontanava. Udimmo ancora una volta
quelle sconsolate parole, lanciate come un grido di angoscia e di rabbia: - Moeuri minga! - e poi non udimmo più
nulla. Tutti tacevano, rattristati da quella scena, e guardavano intorno. La
barca guizzava rapidissima sulle acque chiare, e la baia meravigliosa di Rio
Janeiro ci si svolgeva davanti: quegli alti picchi dalle forme di montagne
lunari, quei monti popolati di regine e d’imperatori della vegetazione, quei
boschi scapigliati, quelle rocce aeree, quei seni inghirlandati di giardini,
quelle isole incoronate di palme, tutto quell’anfiteatro immenso, disordinato,
strano, così grande che la fantasia vi si perde, così bello che mette quasi
tristezza. Ci parve d’arrivar troppo presto al piroscafo, che già fumava, e
appena saliti ci mettemmo al parapetto, in mezzo agli altri mille passeggeri, a
riguardare la baia «l’arco
trionfale dell’America» che
resta nella mente d’ogni viaggiatore come una visione di paradiso. Alcuni amici
di Rio Janeiro erano rimasti sotto nella barca a vapore, che aveva a prua la
bandiera italiana. Rimanemmo là non so quanto tempo. Il sole tramontava, il
cielo era tutto rosato, la baia rosata, le grandi rocce coniche parevan di
corallo, sull’orizzonte dell’oceano si allungava una striscia di nuvole
purpuree. E cominciava a scoppiettare allegra la conversazione fra noi e gli
amici di sotto, quando una voce dolorosa, - sinistra, - lacerante, - quella
voce, - ci arrivò improvvisamente all’orecchio.
- Mi
lascino partire! Ci ho la famiglia! Paghi
el doppi. Moeuri minga! I preghi per l’amor di Dio.
Appena
partiti noi, quegli s’era gettato nella barchetta di un negro, che l’aveva
portato là in men d’un’ora, facendo forza per quattro.
Il
comandante, dall’alto del ponte di comando, gli rispose con un cenno del capo:
- È impossibile.
Quegli,
intanto s’era spinto innanzi con la sua in mezzo alle altre barche, e,
afferratosi alla catena della scala reale, dove un marinaio gl’impediva il
passo, continuava a pregare affannosamente, ora guardando in su verso il
capitano e verso di noi, ora verso gli amici della barca a vapore, la cui
bandiera gli pendeva sopra una spalla; e giungeva le mani, abbracciava le gambe
al marinaio, baciava la bandiera, accennava il cielo, spandeva un torrente di
parole, quasi fuori di sé: - Il mio paese, la mia famiglia, i me piscinitt, per pietà, moeuri minga, - con la voce roca, coi
lamenti d’un bimbo, con lo sguardo d’un moribondo, coi gesti d’un pazzo...
Dal
ponte di comando tuonò un grido: - Su la scala!
Le catene cigolarono, la scala
s’alzò; il disgraziato, respinto dal marinaio, ricadde seduto in mezzo alla
barca.
E diede in una risata più
dolorosa e più lugubre del più disperato scoppio di pianto.
Poco dopo si udì il fischio
della partenza.
Intanto, dal parapetto della
terza classe, gli gridavano: - Coraggio, buon uomo, partirete quando starete
meglio. - C’è un altro vapore fra quindici giorni.
E qualche voce scellerata gli
diceva: - Purgati! Ripassa domattina!
Ma egli, rifattosi cupo,
pareva che non capisse più nulla, e guardava gli uni e gli altri con grande
stupore. Il bastimento si mosse.
Allora si alzò in piedi con
impeto, e tese il pugno verso il ponte, in atto di scagliare un’orrenda
maledizione.
Poi ricadde d’un colpo nella
barca, col viso nelle mani, e ruppe in un singhiozzo violento, che parve una
risata...
Era già lontano da noi e lo
vedevamo ancora che scuoteva le spalle con un movimento convulso, vedevamo
ancora col cuore stretto, là in mezzo alla baia, quell’immenso dolore senza
conforto, a cui sorrideva tutto intorno quella immensa bellezza senza pietà.
Dopo cinque minuti egli non era più che un punto nero in mezzo al mare color di
rosa...
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