sabato 26 febbraio 2011

Lì finisce il mare

Questo è Oceano mare, Alessandro Baricco.
Questo è uno scrigno che contiene storie preziose e soffuse.
Questo è un libro che mi è penetrato dentro, ne ho la pelle impregnata.
L'ho letto quattro volte, e sempre l'ho chiuso che mi batteva forte il cuore.
Il modo in cui è scritto, lo stile, la piega con cui le parole sono appoggiate appena sulla carta, il soffio tiepido che le anima mi catturano in profondità.
Se fosse per me porterei su questo spazio molti, moltissimi pezzi delle sue storie.
Ma forse sarebbe un modo troppo freddo e innaturale di farvele scoprire.
Molto meglio se, incuriositi, le trovaste un po' per volta dentro al libro.
E allora vi mostro solo questo, un pezzetto di Bartleboom, un uomo che racchiude in sè più poesia di quanto si possa immaginare.
E' un personaggio che mi è entrato dentro al punto che non posso più guardare un'onda del mare senza pensare a lui.
Ora capirete perché.

Accoglietelo bene.
E' amico mio.



per gentile concessione di Gabriele Policardo

Solo, in mezzo alla spiaggia, Bartleboom guardava. A piedi nudi, i pantaloni arrotolati in su per non bagnarli, un quadernone sotto il braccio e un cappello di lana in testa. Leggermente chinato in avanti, guardava: per terra. Studiava l’esatto punto in cui l’onda, dopo essersi rotta una decina di metri più indietro, si allungava - divenuta lago, e specchio e macchia d’olio - risalendo la delicata china della spiaggia e finalmente di arrestava - l’estremo bordo orlato da un delicato perlage - per esitare un attimo  e alfine, sconfitta, tentare una elegante ritirata lasciandosi scivolare indietro, lungo la via di un ritorno apparentemente facile ma, in realtà, preda destinata alla spugnosa avidità di quella sabbia che, fin lì imbelle, improvvisamente si  svegliava e, la breve corsa dell’acqua in rotta, nel nulla svaporava.
         Bartleboom guardava.
         Nel cerchio imperfetto del suo universo ottico la perfezione di quel moto oscillatorio formulava promesse che l’irripetibile unicità di ogni singola onda condannava a non essere mantenute. Non c’era verso di fermare quel continuo avvicendarsi di creazione e distruzione. I suoi occhi cercavano la verità descrivibile e regolamentata di un’immagine certa e completa: e finivano, invece, per correre dietro alla mobile indeterminazione di quell’andirivieni che qualsiasi sguardo scientifico cullava e derideva.
Era seccante. Bisognava fare qualcosa. Bartleboom fermò gli occhi. Li puntò davanti ai piedi, inquadrando un pezzo di spiaggia muto e immobile. E decise di aspettare. Doveva finirla di correre dietro a quell’altalena sfinente. Se Maometto non va alla montagna, eccetera eccetera, pensò. Prima o poi sarebbe entrato - nella cornice di quello sguardo che lui immaginava memorabile nella sua scientifica freddezza - il profilo esatto, orlato di schiuma, dell’onda che aspettava. E lì, essa si sarebbe fissata, come un’impronta, nella sua mente. E lui l’avrebbe capita. Questo era il piano. Con totale abnegazione Bartleboom si calò in un’immobilità senza sentimenti, trasformandosi, per così dire, in neutrale ed infallibile strumento ottico. Quasi non respirava. Nel cerchio fisso ritagliato dal suo sguardo calò un silenzio irreale, da laboratorio. Era come una trappola, imperturbabile e paziente. Aspettava la sua preda. E la preda, lentamente arrivò. Due scarpe da donna. Alte, ma da donna.
- Voi dovete essere Bartleboom.
Bartleboom, veramente, aspettava un’onda. O qualcosa del genere. Alzò lo sguardo e vide una donna, chiusa in un elegante mantello viola.
- Bartleboom, sì... professor Ismael Bartleboom.
- Avete perso qualcosa?
Bartleboom si rese conto che se ne era rimasto chino in avanti, ancora irrigidito nello scientifico profilo dello strumento ottico in cui si era tramutato. Si raddrizzò con tutta la naturalezza di cui fu capace. Pochissima.
- No, sto lavorando.
- Lavorando?
- Sì, faccio... faccio delle ricerche, sapete, delle ricerche...
- Ah.
- Delle ricerche scientifiche, voglio dire...
- Scientifiche.
- Sì.
 Silenzio. La donna si strinse nel suo mantello viola.
- Conchiglie, licheni, cose del genere?
- No, onde.
Così: onde.
- Cioè... vedete lì, dove l’acqua arriva... sale sulla spiaggia poi si ferma... ecco, proprio quel punto, dove si ferma... dura proprio solo un attimo, guardate, ecco, ad esempio lì... vedete che dura solo un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell’attimo... quando l’acqua si ferma, proprio quel punto, quella curva... è quello che io studio. Dove l’acqua si ferma.
- E cosa c’è da studiare?
- Be’, è un punto importante... a volte non ci si fa caso, ma se ci pensate bene lì succede qualcosa di straordinario, di... straordinario.
- Veramente?
Bartleboom si sporse leggermente verso la donna. Si sarebbe detto che avesse un segreto da dire quando disse
- Lì finisce il mare.
Il mare immenso, l’oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l’immane mare onnipotente - c’è un luogo dove finisce, e un istante - l’immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla. Questo, voleva dire Bartleboom.
La donna fece correre lo sguardo sull’acqua che scivolava incurante, avanti e indietro, sulla sabbia. Quando rialzò gli occhi su Bartleboom erano occhi che sorridevano.
- Io mi chiamo Ann Deverià.
- Onoratissimo.
- Sono anch’io alla locanda Almayer.
- Questa è una splendida notizia.
Soffiava, come sempre, vento da nord. Le due scarpe da donna attraversarono quello che era stato il laboratorio di Bartleboom e si allontanarono di qualche passo. Poi si fermarono. La donna si voltò.
- Prenderete un tè con me, vero, questo pomeriggio?
Certe cose, Bartleboom, le aveva viste solo a teatro.
E a teatro rispondevano sempre:
- Sarà un piacere.