Libro dall'odore acidulo della biblioteca.
Scavando tra gli scaffali l'ho trovato, e l'ho tenuto tra le mani come se dovesse fuggire.
S'intitola
Riso nero, di
Sherwood Anderson, nella traduzione di Cesare Pavese.
Non sapevo che aspettarmi da questo americano.
Troppo spesso le storie mi scivolano addosso senza penetrare sul serio.
Ma stavolta sono stata trascinata, colta all'improvviso e buttata dentro.
E' molto bello, quando le parole sanno chi sei.
Questo libro parla di uomini e di un fiume.
Di lavoratori neri che cantano e sanno, anche se non dicono.
Di un amore che non lo era.
E di un fiume. Che accompagna. O forse minaccia.
Ecco qui l'estratto, scritto in modo - a parer mio - magistrale.
Per voi.
Non servì però a nulla. Il piede di Fred urtò una pietra rotonda e lui incespicando fu costretto a fare un passo rapido per evitare di cadere. La voce di Aline chiamò. «Fred» disse e poi ci fu un silenzio, un silenzio molto denso, mentre Fred si fermava tremando sul sentiero. L’uomo e la donna si alzarono dalla panca e vennero alla sua volta mentre un nauseante senso di disperazione afferrava Fred. Non si era sbagliato. L’uomo con Aline era il giardiniere, Bruce. Quando l’ebbero raggiunto, tutti e tre stettero qualche momento in silenzio. Era rabbia o paura che aveva così afferrato Fred? Bruce non aveva nulla da dire. La cosa da definire stava tra Aline e il marito. Se Fred avesse fatto improvvisamente qualcosa di violento - sparare per esempio - lui allora necessariamente avrebbe preso parte diretta alla scena. Era un attore in disparte, mentre altri due attori stavano recitando. Sì, era la paura che stringeva Fred. Aveva una paura terribile non di Bruce uomo, ma di Aline donna.
Aveva quasi raggiunta la casa quand’era stato scoperto, ma Aline e Bruce, che gli erano venuti incontro seguendo uno spiazzo rialzato del giardino, si trovavano ora tra lui e la casa. Fred provò quel che aveva provato da militare al momento di entrare in battaglia.
Lo stesso senso di desolazione, di essere interamente solo in un vuoto strano. Al momento di entrare in battaglia si perde a un tratto ogni connessione con la vita. Quel che vi riguarda è la morte. La morte è ora tutto e il passato è un’ombra che svanisce. Non c’è futuro. Nessuno vi ama. Non amate nessuno. Avete il cielo sul capo, la terra sempre sotto i piedi, compagni che vi camminano accanto, vicino alla strada dove avanzate con qualche centinaio di altri uomini - tutti come voi, macchine vuote, come le cose - gli alberi crescono, ma il cielo, la terra e gli alberi non hanno nulla a che fare con voi. I vostri compagni non hanno nulla a che fare con voi, ora. Siete una cosa staccata che fluttua nello spazio, che sarà uccisa, che cercherà di scampare e di uccidere altri. Fred conosceva bene la sensazione che provava adesso; e tornare a provarla, dopo che la guerra era finita, dopo questi mesi di esistenza pacifica con Aline, nel proprio giardino, all’uscio della propria casa, lo riempiva di un antico orrore. In una battaglia non si ha paura. Essere coraggioso o vile non ha nulla a che fare con la situazione. Voi ci siete. Le pallottole vi voleranno intorno. Voi sarete colpito o scamperete.
Aline ora non apparteneva a Fred. Era diventata lei il nemico. Fra un istante avrebbe cominciato a dir parole. Le parole eran pallottole. O vi colpivano o vi mancavano, e voi scampavate. Benché per settimane Fred avesse combattuto contro l’idea che qualcosa fosse passato tra Aline e Bruce, ora non aveva più bisogno di combattere. Ora avrebbe saputo la verità. Ora, come in battaglia, sarebbe stato colpito o sarebbe scampato. Ebbene, era già stato in battaglia. Aveva avuto fortuna, dalle battaglie era scampato sano e salvo. Aline dritta innanzi a lui, la casa che appariva confusamente sopra la spalla della donna, il cielo, in alto, la terra sotto i piedi: nessuna di queste cose ora gli apparteneva. Ricordava qualcosa, quel giovanotto sconosciuto sull’orlo della strada in Francia, quel giovane ebreo che voleva strappare le stelle dal cielo e mangiarle. Fred comprendeva quello che il giovane aveva voluto dire. Comprendeva che aveva voluto essere di nuovo una parte delle cose, che aveva voluto che le cose fossero ancora una parte di lui.
Aline parlava. Le parole le uscivano lente, penose dalle labbra. Il suo viso era un ovale bianco nell’oscurità. Era come una donna di pietra dritta innanzi a lui. Si era accorta di amare un altro uomo e quest’uomo era venuto a cercarla. Quando lei e Fred erano in Francia non era stata che una ragazza, non aveva saputo nulla. Aveva creduto che il matrimonio fosse semplicemente il matrimonio: due persone che vivono insieme. Benché avesse fatto a Fred un’azione del tutto imperdonabile, non era stata sua intenzione far qualcosa del genere. Persino dopo trovato il suo uomo e dopo che erano stati amanti, Aline aveva creduto, aveva cercato... Sì, aveva creduto di poter continuare ad amare Fred, a vivere con lui. Ci voleva del tempo perché una donna crescesse, come ce ne voleva per un uomo. Sappiamo tanto poco di noi stessi. Era andata innanzi raccontandosi menzogne, ma ora l’uomo che amava era tornato e non era più possibile continuare a mentire né a lui né a Fred. Continuare a vivere con Fred sarebbe stata una menzogna. Non andare coll’amante sarebbe stata una menzogna.
«Il bambino che aspetto non è tuo figlio, Fred».
Fred non disse nulla. Che cosa si poteva dire? Quando siete in battaglia le pallottole vi colpiscono o voi scampate e vivete, siete contento di vivere. Ci fu un pesante silenzio. I secondi passarono lenti, penosi. Una battaglia una volta cominciata sembra che non finisca più. Fred aveva pensato, aveva creduto che quand’era tornato a casa in America, quando aveva sposato Aline, la guerra fosse finita. «La guerra per finire la guerra».
Fred ebbe voglia di abbandonarsi sul sentiero e di mettersi le mani sulla faccia. Ebbe voglia di piangere. Quando si è feriti è questo che si fa, si piange forte. Ebbe voglia che Aline finisse di parlare, non dicesse più nulla. Che cose spaventose potevano essere le parole. «Basta! Férmati! Non dir più nulla» ebbe voglia di supplicarla.
«Non posso far altro, Fred. Noi ce ne andiamo ora. Aspettavamo soltanto per dirtelo» disse Aline.
E ora erano venute parole anche a Fred. Che umiliazione! Stava supplicandola. «È tutto un errore. Non andare, Aline! Sta’ qui! Dammi tempo! Dammi un’occasione. Non andare». Dire le parole che diceva era per Fred sparare a un nemico in battaglia. Voi sparavate con la speranza che qualcuno sarebbe stato colpito. Era così. Il nemico cercava di far qualcosa di spaventoso a voi e voi cercavate di farlo a lui.
Fred continuò a ripetere ancora le stesse due o tre parole... Era come sparare un fucile in battaglia: sparare e poi sparare ancora. «Non farlo! Non puoi farlo! Non farlo! Non puoi!» Sentì che Aline veniva ferita. Aveva appena notato Bruce che si era tirato un po’ indietro, lasciando l’uomo e la moglie fronteggiarsi. Aline aveva messo la mano sul braccio di Fred. Tutto il corpo di Fred era contratto.
E ora i due, Aline e Bruce, stavano allontanandosi per il sentiero dov’era lui. Aline aveva messo le braccia al collo di Fred e avrebbe potuto baciarlo, ma lui si ritirò un po’ indietro col corpo irrigidito, e l’uomo e la donna gli passarono innanzi mentre stava così. Fred la lasciava andare. Non aveva fatto nulla. Evidentemente eran già stati fatti i preparativi. Quel Bruce portava due pesanti valigie. Li aspettava un’automobile in qualche luogo? Dove andavano? Avevano raggiunto il cancello e stavano uscendo dal giardino nella strada quand’egli gridò di nuovo: «Non farlo! Non puoi farlo! Non farlo!» gridò.